dal quaderno di ricerca del centro studi confindustria
Questi gli investimenti diretti esteri in Italia
Si riportano di seguito ampi stralci del paragrafo “Gli investimenti esteri in Italia” del quarto capitolo del Quaderno di Ricerca del Centro Studi Confindustria “Produttività e attrattività del Paese: i nodi da sciogliere”, pubblicato lo scorso dicembre.
L’andamento degli investimenti diretti esteri effettuati sul territorio italiano può essere analizzato in dettaglio — e comunque con una maggiore affidabilità delle informazioni rispetto a quelle fornite sia dall’Unctad che da Eurostat sulla base dei dati di bilancia dei pagamenti — utilizzando le serie Reprint fornite dall’Ice. Questo tipo di informazione consente di ricostruire il profilo del fenomeno secondo una prospettiva in ogni caso diversa (e dunque complementare) rispetto a quella offerta dai dati valutari, in quanto riferita — sia per gli investimenti in entrata che in uscita — al “numero” delle partecipazioni anziché al loro valore.
Al primo gennaio 2005, le imprese italiane partecipate da soggetti esteri erano 7.181, e occupavano oltre 920.000 dipendenti. La quota delle partecipazioni di controllo sul totale delle imprese partecipate corrisponde, secondo questo censimento, al 92,2 percento; il fatto che la stessa quota appaia inferiore, quando venga calcolata sulla base del numero dei dipendenti (86,8 percento), suggerisce che le partecipazioni di controllo tendano a orientarsi verso imprese di dimensione media, leggermente più contenuta rispetto alle altre.
Questi investimenti provengono per oltre il 60 percento dall’interno dell’Unione Europea, per quasi il 25 per cento dal Nord America, e risultano per il resto frazionati tra le restanti aree (l’Asia figura con poco più del 5 percento). Rispetto all’inizio del decennio, il dato del 2005 indica un aumento del numero delle partecipazioni corrispondente a circa 500 imprese (nel 2001 gli IDE registrati ammontavano a 6.688 unità); a questo incremento, peraltro contenuto, non corrisponde alcun cambiamento nella loro composizione (tra il 2001 e il 2004 il peso dell’Europa nel suo complesso passa — per modo di dire — da 67,9 a 67,7 percento, quello del Nord America da 25,1 a 24,9).
Con riferimento alla sola industria manifatturiera, le serie Reprint-Ice consentono di ricostruire un profilo temporale del fenomeno più lungo (quasi un ventennio). (…) Se ne ricava che l’andamento delle partecipazioni estere manifatturiere ha fatto registrare una certa espansione fino all’inizio degli anni 2000 (l’indice cresce intorno all’80 percento nell’arco di un quindicennio), mentre negli anni più prossimi si è rivelato del tutto stagnante (tra il 2003 e il 2004 il numero delle partecipazioni resta addirittura invariato). In questo ambito si può osservare anche un leggero incremento, nel lungo periodo, della quota relativa alle partecipazioni di controllo, ma anche in questo caso negli ultimi anni il fenomeno tende ad esaurirsi.
La “capacità di attrazione” da parte del territorio nazionale di investimenti dall’estero mostra dunque un evidente deterioramento: in un contesto di generale espansione del fenomeno a livello internazionale, e comunque di tenuta relativa dell’Europa come area di attrazione, i dati relativi al numero delle “entrate” sul territorio italiano confermano quanto già osservato con riferimento ai flussi in valore.
A livello settoriale, dai dati emerge con molta chiarezza l’assoluta prevalenza di investimenti in attività di servizio (massimamente nel commercio, che con oltre 2.700 partecipazioni copre quasi il 40 percento del totale degli IDE in entrata). Ordinando i diversi settori di attività in senso decrescente a seconda del loro peso relativo, tra le prime tre industrie figurano tre attività di servizio (quattro tra le prime sei). Le uniche due industrie trasformatrici che compaiono nel gruppo delle prime cinque sono l’industria chimica e l’aggregato che include la meccanica strumentale e gli elettrodomestici. Tutte le industrie del c.d. Made in Italy compaiono in fondo all’elenco.
Si può dedurre da questi dati che gli investitori stranieri privilegino o attività che offrono notevoli potenzialità di espansione sul mercato interno (commercio, trasporti, servizi professionali e telecomunicazioni), o industrie nelle quali l’Italia presenta qualche forza — quantomeno nelle sue imprese di punta — anche sui mercati internazionali; mentre al contrario essi tendono a trascurare le industrie che, in presenza di un mercato interno stagnante e di una domanda mondiale relativamente lenta, appaiono meno promettenti in termini di sviluppo potenziale. La stessa fonte offre la possibilità di isolare — se pure solo parzialmente — la componente greenfield degli investimenti diretti in entrata, aiutando a completare questo quadro.
Il data-set utilizzato riporta il numero degli investimenti (imprese partecipate) accertati come greenfield, a fronte di quelli accertati come semplici partecipazioni; una terza colonna contiene i dati relativi a investimenti dei quali non è possibile ricostruire la natura.
L’esistenza di questa voce residuale rende naturalmente meno ovvio valutare il peso effettivo della componente “esplicitamente” greenfield; ma una lettura attenta della tavola consente comunque di ricavare dai dati alcune indicazioni di rilievo.
La prima è che in quasi tutti i settori dell’industria di trasformazione il numero dei semplici investimenti di partecipazione (di controllo e non) è sempre superiore a quello degli investimenti in nuove attività; questo dato è nella maggior parte dei casi confermato anche quando — al limite — si includano tutti i casi “residuali” rappresentati nella terza colonna tra gli investimenti greenfield.
Quando si passa a considerare le imprese dei servizi, oltre ad aumentare nettamente l’incidenza degli investimenti totali rispetto alla media delle attività manifatturiere, come già visto sopra, questo rapporto si inverte completamente.
La voce relativa alla componente greenfield risulta dunque sistematicamente superiore a quella relativa alla componente delle partecipazioni.
A titolo di esempio, si può osservare che nel caso dei due settori che risultano i massimi beneficiari degli IDE dall’estero nei due rispettivi ambiti (manifattura e servizi), ovvero la produzione di macchine e apparecchi meccanici e il commercio all’ingrosso, le quote sul totale degli IDE sono rispettivamente del 7 e 38 per cento quando sono calcolate con riferimento agli IDE totali, e diventano rispettivamente del 3,3 e del 52,7 per cento quando sono circoscritte ai soli IDE di tipo greenfield.
Sulla base di questi dati (attualmente disponibili solo per il 2004), gli investimenti in “nuove” attività risultano dunque una componente minoritaria dello stock degli investimenti esteri manifatturieri.
In questo caso prevale tra le decisioni degli investitori l’orientamento ad acquisire quote di partecipazione in imprese già presenti sui mercati, e quindi ad entrare all’interno di aree di business già consolidate.
Il contrario accade nei servizi, dove il numero notevole di nuove attività (specialmente di tipo commerciale) segnala, da parte degli operatori esteri, l’intenzione di ampliare il loro business direttamente sul territorio italiano. Utilizzando le tipologie stilizzate identificate in precedenza, si può ritenere questo un caso esemplare di comportamento market seeking.
Informazioni più articolate sul comportamento delle imprese partecipate dall’estero possono essere tratte dalle indagini Istat sulle Inward Foreign Affiliates, sviluppate nel quadro del Regolamento comunitario Fats. Le statistiche prodotte dall’Istat si riferiscono attualmente al 2002, e consentono di confrontare il livello di alcuni indicatori di tipo strutturale relativi alle sole imprese partecipate con quello degli stessi indicatori relativi all’intera popolazione.
Rispetto ai dati più dettagliati forniti dall’Istat, vengono qui riportati soltanto quelli che si riferiscono all’industria manifatturiera, che è quella analizzata in questa sezione; per meglio valutare il fenomeno vengono aggiunti anche i corrispondenti dati riferiti al complesso dei servizi.
Il confronto rende molto evidente l’esistenza di differenziali di performance (e più in generale di comportamento) estremamente marcati. La prima differenza di rilievo riguarda la produttività (parziale del lavoro), che nelle imprese partecipate dall’estero risulta del 64 percento superiore a quella media (dell’82 per cento nei servizi); questo differenziale a sua volta si traduce — pur in presenza di un costo del lavoro per dipendente relativamente maggiore — anche in un diverso livello di redditività (margini lordi sul valore aggiunto).
Altrettanto evidente è la differenza nel livello sia degli investimenti che delle spese di ricerca per addetto, addirittura più marcate nel servizi che nella manifattura.
Questi dati mostrano che il ruolo svolto dagli investitori esteri non si esaurisce nel semplice contributo all’ampliamento della base produttiva dovuto alla realizzazione di nuove attività, ma si estende anche all’innalzamento della “capacità competitiva di sistema”, attraverso un livello dei risultati economici ottenuti considerevolmente superiore. Sia che il differenziale positivo qui riscontrato dipenda da un livello “di partenza” dei nuovi investimenti esteri (“aggiuntivi”) più alto, sia che esso rifletta gli effetti dell’acquisizione di realtà già operative da parte di una proprietà estera più efficiente, la presenza nella proprietà di soggetti controllanti stranieri coincide comunque nei fatti con una maggiore competitività delle imprese.
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Partecipazioni estere Italia al 1º gennaio 2005
Settore Totale Partecipazioni di controllo Quota sul tot. Partecipazioni paritarie e minoritarie Quota sul tot.
Imprese partecipate (N.) 7.181 6.623 92,2 558 7,8
Dipendenti (N.) 920.575 798.922 86,8 121.653 13,2
Fatturato (milioni euro) 382.267 329.425 86,2 52.842 13,8
Valore aggiunto
(milioni euro) 75.214 66.450 88,3 8.765 11,7
Fonte: Reprint-ICE.
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Valori e composizione % partecipazioni estere Italia 2004
Aree Valori Composizione percentuale
Unione Europea 4.370 60,9
Altri Europa 448 6,2
Europa Centro Orientale 47 0,7
Medio Oriente e Africa Settentrionale 75 1
Nord America 1.782 24,8
America Latina 28 0,4
Asia 393 5,5
Oceania e altri africani 38 0,5
Mondo 7.181 100
Fonte: Reprint-ICE.
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Numero di partecipazioni estere Italia distinte per settori
(situazione al 1º gennaio 2005) Mondo
Settori N. comp. %
20 – Commercio all’ingrosso 2.728 38,0
25 – Altri servizi professionali 716 10,0
24 – Servizi di telecomunicazione e di informatica 539 7,5
14 – Macchine ed apparecchi meccanici, elettrodomestici 500 7,0
10 – Prodotti chimici, fibre sintetiche e artificiali 400 5,6
22 – Logistica e trasporti 365 5,1
15 – Prodotti dell’ICT, elettrotecnica, strumenti di precisione 353 4,9
13 – Prodotti della metallurgia, strutture ed utensili metallici 302 4,2
11 – Prodotti in gomma e in materie plastiche 210 2,9
08 – Carta e articoli in carta, prodotti della stampa 173 2,4
12 – Vetro, ceramica, materiali non metallici per l’edilizia 150 2,1
03 – Prodotti dell’industria alimentare, bevande 138 1,9
23 – Energia elettrica, gas e acqua 126 1,8
16 – Autoveicoli 114 1,6
21 – Costruzioni 92 1,3
04 – Prodotti tessili, articoli della maglieria 62 0,9
19 – Altri prodotti delle industrie manifatturiere 58 0,8
06 – Calzature, cuoio e prodotti in cuoio 39 0,5
17 – Altri mezzi di trasporto 39 0,5
05 – Articoli di abbigliamento 29 0,4
09 – Prodotti energetici raffinati 25 0,3
01 – Industria estrattiva 20 0,3
07 – Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili) 3 0,0
Totale complessivo 7.181 100,0
Fonte: Reprint-ICE.